La storia di Frangetta Mix

La Storia di
Frangetta Mix

Un racconto di Attilio Attilieni

Episodio 1 - Il Viaggio

“Frangetta Mix” è stata la prima scarpa di Lelli Kelly. La sua eccezionalità non è dovuta soltanto a questo ma anche, e soprattutto, al fatto di essere stata la prima a comparire in televisione. Le cose, però, non dovevano andare in questo modo. In altre parole Frangetta Mix non doveva essere la prima scarpa di Lelli Kelly, e nemmeno la prima a comparire in televisione.

 

Ma procediamo con ordine.

 

Tutto ebbe inizio nel Febbraio del ‘93, quando presi il volo per Miami, accompagnando in crociera una variegata comitiva di clienti provenienti da ogni regione italiana. Avevano il compito di credere nel debutto televisivo di Lelli Kelly comprando più scarpe possibili, o almeno così speravo.

 

In quel momento, Frangetta Mix ancora non esisteva. Esistevano, invece, lunghe ore passate in aereo e imbarcarsi sulla Costa Classica era l’unico obiettivo di tutti noi. Tuttavia, sebbene l’imponente vascello ci aspettasse dondolandosi agli ormeggi, apparve chiaro fin da subito che le cose non sarebbero filate lisce.

 

Un gruppo di italoamericani, ben più sostanzioso del nostro, aveva monopolizzato le attenzioni e i servizi del personale della maestosa nave da crociera e fu dopo qualche peripezia, e nuove attese, che riuscimmo a salire a bordo e sistemarci nelle cabine.

 

Di lì a poco, sotto di noi il mare iniziò a dare segni di irrequietezza, anche se nessuno poteva prevedere quello che sarebbe successo. Il mattino seguente, mentre la Costa Classica puntava verso le Isole Vergini, e il mare diventava sempre più irrequieto, era prevista la presentazione del nuovo progetto di Lelli Kelly.

 

Si sarebbe svolta nella grande Sala Conferenze della nave e avrebbe annunciato che Lelli Kelly stava per andare in televisione con il primo e, in quel momento unico, dei suoi prodotti: una pantofola a forma di bambola.

 

L’idea, così innovativa, era stata di Mariella, mia moglie, che l’aveva concepita mettendo insieme libri di fiabe, orsetti e bambole di stoffa e adattandoli alla moda del momento, le pantofole di peluche. Un bel mattino, nel suo ufficio, dopo che avevamo deciso di dar vita a Lelli Kelly, sepolta da pile di libri, aveva detto:

 

- Sarebbe bello iniziare con una collezione di pantofole a forma di bambola. Sai che le bambole col viso di stoffa, come le facevano una volta, stanno tornando di moda? Sono rare e si vendono solo nelle cartolerie. -

 

Mi convinse subito e nelle nostre intenzioni proprio una simpatica pantofola con le sembianze di un’antica bambola di stoffa avrebbe dato il via alla stagione televisiva di Lelli Kelly.

 

Per presentarla seguii una mia idea: la pantofola-bambola, con il suo vestitino di trine, pizzi e merletti, sbucando da un improvvisato teatrino, avrebbe parlato di sé, dei suoi progetti, e chiesto di essere acquistata con la promessa di inaugurare il ciclo televisivo di Lelli Kelly.

 

Da un lato le cose si svolsero come le avevo immaginate: i clienti entrarono in sala, sedettero in modo ordinato, anche se alcuni iniziarono ben presto a dare segni di disagio a causa del mare, il teatrino aprì le tende e lo spettacolo che ne seguì ottenne una moderata attenzione.

 

Dall’altro, proprio nel momento in cui la pantofola-bambola prometteva vendite record, la tempesta che agitava le acque del Mar dei Caraibi raggiunse l’apice e i clienti iniziarono a guardarsi attorno in cerca dei bagni.

 

Ma la pantofola-bambola, con ammirevole senso di responsabilità, ignorò chi era impegnato a tenersi lo stomaco con le mani e promise quello che doveva promettere: una grande campagna pubblicitaria sulle reti Mediaset, con lei come protagonista.

 

Terminata la riunione, rientrati i più dai bagni, dopo frettolosi saluti il gruppo si sciolse per precipitarsi nelle rispettive camere, o ai parapetti, con i visi pallidi e le lingue penzoloni.

 

La presentazione del debutto televisivo di Lelli Kelly era, ovviamente, passata in secondo piano.

Episodio 2 - Il Suggerimento

Lasciai la Sala Conferenze senza rimpianti e mi diressi verso il ristorante insieme a Mariella. Il mare sembrava essersi impietosito e l’idea di mettere qualcosa sotto i denti non appariva più così scandalosa.

 

Prima della grande scala a chiocciola al centro della nave, vicino al banco dei gelati, incontrammo De Ricchis con la moglie Sara. Le signore andarono avanti, gli uomini rimasero indietro e De Ricchis mi prese sottobraccio con fare amichevole.

 

Era il più importante cliente pugliese e si capiva non solo dalla pancia che strabordava sopra la cintola, ma anche dall’aria imponente con cui incedeva. Mi irrigidii. Che stesse per chiedermi uno sconto? A tutti gli effetti, quel gesto familiare non faceva parte del personaggio.

 

- Senti a me, - grugnì - la pubblicità sì che la devi fare, ma non su quella simpatica pantofola-bambola. -

 

Tirai un sospiro di sollievo: no, non si sarebbe parlato di sconti.

 

- Sulle scarpe normali, su quelle la devi fare! Noi clienti sappiamo che le venderemo, in un modo o nell’altro, e quindi è più facile comprarle. Ci stai chiedendo d’impegnarci, giusto? E con quelle pantofole-bambole, che sono un po’ troppo innovative, non potrai ottenere il grosso programma di ordinativi che ti serve. -

 

Inciampai. Qualche passo ancora avanti e presero a ronzarmi le orecchie. Se quello era l’effetto che aveva fatto la presentazione e l’annuncio del programma televisivo nella Sala Conferenze… beh, soldi buttati al vento. O forse, in quel caso, in mare. De Ricchis non se ne accorse e andò dritto per la sua strada:

 

- E poi ce ne sono tante di pantofole, il primo che passa ce le offre, di tutti i tipi e di tutti i colori. Dammi retta, ci vuole qualcos’altro, qualcosa in più. -

 

Il ronzio alle orecchie cessò e potei osservarlo meglio. Parlava con convinzione. Azzardai un tentativo di difesa:

 

- Non abbiamo preparato una linea di scarpe vere e proprie per Lelli Kelly, e non so se saremo in tempo a farlo. E in ogni caso, che tipo di scarpe dovrebbero essere? -

 

- Ah… ginnastica di sicuro, oggigiorno si mettono questo tipo di scarpe anche per le comunioni. -

 

- E se pure avesse ragione, - pensai con sgomento - dove la trovo adesso una linea di scarpe da ginnastica per Lelli Kelly? -

 

- Dai retta a me, - ripeté guardandomi con la coda dell’occhio - hai indovinato tutto, fuorché il prodotto! -

 

Inciampai di nuovo.

Episodio 3 - Il Modello

Con quelle poche parole De Ricchis aveva cambiato il modo in cui Lelli Kelly si sarebbe presentata in televisione.

 

Appena rimesso piede in ufficio, iniziai a pensare a come affiancare vere e proprie scarpe a quella che sempre più appariva un’insufficiente pantofola-bambola.

 

Sventolare una campagna televisiva sotto il naso dei clienti creava un interesse superiore alle aspettative e De Ricchis ne era stato la prova: mai mi sarei aspettato un tale coinvolgimento da un personaggio come lui.

 

Feci il punto degli ordinativi ricevuti durante il viaggio e mi resi conto che non sarebbero stati sufficienti a coprire le spese della campagna televisiva. Mariella, come sua abitudine, fu molto pratica:

 

- De Ricchis ha parlato bene, ma dove la troviamo ora una collezione di scarpe da ginnastica per Lelli Kelly? -

 

Un’osservazione di non poco conto.

 

- Beh, una collezione no, è tardi ormai. Un modello sì, quello si potrebbe trovare. -

 

Posai gli occhi sulla scrivania. Una scarpa con le frange, che richiamava i classici mocassini degli indiani d’America, sembrava voler attirare la mia attenzione. In effetti, stava disperatamente cercando di essere notata.

 

Si trattava di una delle più recenti tendenze del mercato americano e dimenticata in un angolo nessuno l’aveva presa in seria considerazione. Me la rigirai davanti agli occhi.

 

- Eccola! - dissi - Può diventare la prima scarpa da ginnastica pensata per le bambine. -

 

- Ah sì? - ancora lo spirito pratico di Mariella - E chi la realizza? Si tratta di produzioni che ormai non vengono più fatte nemmeno in Italia. -

 

Nuova, notevole osservazione. Mi venne in mente di aver incontrato una persona che rappresentava fabbriche dall’altra parte del mondo. Si chiamava Mara Giannecchini e lavorava con strutture produttive di alto livello, a cui non avrei mai immaginato di poter accedere.

 

Le commissionai una campionatura e partii per la fiera con Mariella. Da lì in poi, in altre faccende affaccendati, dimenticammo il tutto.

Episodio 4 - L'Inizio

Alcune settimane dopo trovai una scarpetta bianca sul ripiano nocciola della scrivania. Una graziosa frangia e una simpatica passamaneria correvano attorno alla caviglia, conferendo una nota femminile a scarpe altrimenti tecniche, maschili, o tutt'al più unisex.

 

La osservai soddisfatto: Mara Giannecchini aveva ben interpretato le istruzioni mie e di Mariella.

 

In quel momento, ancora non sapevo che sarebbe stata conosciuta come “Frangetta Mix”.

 

Non restava che ordinarne un numero sufficiente di esemplari, affidarli ai nostri numerosi agenti e cercare di venderne il più possibile in vista del lancio televisivo di Lelli Kelly.

 

Tuttavia, quando arrivarono, non suscitarono un grande entusiasmo e anche da parte della clientela l’accoglienza fu a dir poco fredda. Il primo a rifiutarsi di acquistare il nuovo modello fu proprio De Ricchis, che sbottò infastidito:

 

- Ma non poteva fare una scarpa normale? -

 

La mancanza del soggetto nella domanda sottintendeva il mio nome. Dopo qualche tentennamento, al solo scopo di mantenere un minimo di relazioni, si decise a ordinarne un quantitativo irrisorio.

 

In generale la sensazione fu che non ero riuscito a tirar fuori una scarpa normale, e normalmente comprabile, da quell’avventura iniziata nel Mar dei Caraibi. La simpatica scarpetta bianca e rosa, che ancora non aveva un nome, si ritrovò con poche carte in mano per poter aspirare a essere prodotta.

 

Il risultato fu che, alcune settimane dopo, concluse le vendite, un nutrito gruppo di agenti era riuscito a piazzare a malapena 1.800 paia di scarpe, in una nazione con sessanta milioni di abitanti e milioni di bambini.

 

Non mi restava altro che incrociare le dita, buttar giù un ordinativo e passare quella miseria a Mara Giannecchini, chiedendole di trasferirlo alla fabbrica.

 

Quando lo ricevette, la malcapitata strabuzzò gli occhi, biascicò qualcosa riguardo al fatto che non è questo il modo di lavorare, e solo per senso del dovere girò il tutto alla fabbrica, che, come aveva previsto, si limitò a riderci in faccia.

Episodio 5 - Le Dimissioni

Qualche giorno dopo la Giannecchini, che nel frattempo era volata in Oriente per un ultimo, disperato tentativo, mi raggiunse con una telefonata:

 

- Nulla da fare, signor Attilieni, l’unico modo per convincere la fabbrica è aumentare la quantità. -

 

Si trattava di una decisione di non poco conto visto l’insuccesso delle vendite, ma alla fine presi il toro per le corna e raddoppiai il quantitativo, pensando che in un modo o nell’altro, presto o tardi, a qualcuno avrei venduto le eccedenze.

 

La Giannecchini si trovò così in mano un nuovo ordinativo che portò il totale a quasi quattromila paia di scarpe e lo trasmise alla fabbrica, che di nuovo lo rispedì al mittente. Questa volta era accompagnato da una breve nota. Diceva:

 

- Riferisca al suo cliente che per iniziare questo tipo di produzione, e ammortizzare i costi degli impianti, sono necessarie non meno di 20.000 paia di scarpe. -

 

Quando lo seppi per prima cosa cercai un capro espiatorio e l’unica persona che poteva assolvere allo scopo era proprio la Giannecchini.

 

Da migliaia di chilometri di distanza la mia voce, a dir poco gelida, la raggiunse attraverso i fili del telefono:

 

- Se ho affidato a lei questo progetto, anziché farlo direttamente, è perché mi aspetto che lei sia in grado di risolvere le difficoltà. -

 

Ebbi la sensazione che ci fossero anche problemi di altro tipo e infatti la conversazione si chiuse con una sua richiesta:

 

- Mi faccia parlare col mio socio, la richiamo più tardi. -

 

In effetti, come mi resi conto in seguito, c’erano anche problemi di altro tipo e parlare col suo socio significò regolare conti che probabilmente avevano in sospeso da tempo. Nuova telefonata.

 

- Senta, signor Attilieni, dia retta a me, nonostante l’aumento rimangono quantitativi non lavorabili. Tutti ne aspettavamo di ben maggiori. In quanto a me, colgo l’occasione per dirle che io e il mio socio ci siamo divisi, la nostra società non esiste più, la lascio libero di trattare direttamente con la fabbrica. È la Long East di Bangkok. -

 

Il caffè che stavo sorseggiando mi andò di traverso e fra un colpo di tosse e l’altro riuscii a dire:

 

- Come può pensare che così, su due piedi, io possa far produrre scarpe a una fabbrica che non conosco, in un paese in cui non ho mai lavorato e per di più a diecimila chilometri di distanza? -

 

Dall’altra parte ci fu silenzio carico di tensione. Ne approfittai per rimettere a posto le corde vocali e continuai con decisione:

 

- No, non se ne parla, ormai lei ha iniziato il discorso e lei deve tirarlo avanti, le pagherò le spese. -

 

Un lungo sospiro, poi:

 

- Non le converrebbe, signor Attilieni. Pensi soltanto al costo dei biglietti aerei, avanti e indietro. Inoltre ho deciso, mi ritiro. -

 

- Si ri…che? -

 

- Smetto di fare questo lavoro! -

Episodio 6 - La Vendita

Con l’uscita di scena dell’unica persona che sapeva come realizzare quel modello di scarpa, avendolo seguito fin dall'inizio, e il rifiuto a produrla da parte dell’unica fabbrica in grado di produrla, tutto sembrava perduto.

 

Salire su un aereo per Bangkok in mezzo a comitive di vacanzieri diretti a Phuket, presentarmi davanti alla Long East nelle vesti di emerito sconosciuto e cercare di convincerla a fare qualcosa che non voleva fare, era fuori discussione.

 

Mariella ritenne giunto il momento di mettere in atto la sua specialità, che consisteva nel rigirare il coltello nella piaga:

 

- Te l’avevo detto che non c’erano i tempi, né tantomeno la collezione! -

 

Non mi convinse.

 

Allora disse qualcos’altro:

 

- D’accordo, se proprio ci credi devi partire a vendere tu stesso! -

 

Questo mi convinse.

 

Comprai un televisore portatile con lettore VHS incorporato e quando l’ebbi davanti mi resi conto che, per quanto piccolo, era pur sempre difficile da portare in giro, specialmente se mi riproponevo di saltare in aereo da un punto all’altro della Penisola.

 

Commissionai allora una sacca a misura del televisore con due lunghi manici che lo rendevano decentemente trasportabile. A quel punto ripensai a quello che c’era da fare.

 

Fresco e sorridente mi sarei presentato davanti al cliente di turno accompagnato dall’agente di zona, che già non era riuscito a vendergli il prodotto, avrei infilato una videocassetta nel televisore mentre lui stava pensando a come liberarsi di noi nel minor tempo possibile, e mostrato un video dove un’imprevista scarpa da ginnastica bianca e rosa chiedeva di riporre in lei le speranze di grandi successi di vendita.

 

Di lì a poco il cliente, facendo due più due, avrebbe realizzato il fatto che la pantofola-bambola, su cui aveva investito ritenendola protagonista della grande campagna pubblicitaria promessa nel Mar dei Caraibi, non lo sarebbe stata affatto. In pratica, era come se dicessi:

 

- Ricordi tutto quello che avevo promesso durante la crociera e su cui hai investito i tuoi soldi? Bene, non lo farò. Farò qualcos’altro, che non avevo promesso, che non hai acquistato, e che ti chiedo adesso di acquistare. -

 

Ovviamente, aspettandomi che nulla avrebbe tolto alla precedente pantofola-bambola.

 

A metà marzo, mentre mi dibattevo nella fase iniziale di questo “road-show” ante litteram, accadde qualcosa di nuovo.

 

Il mercato delle scarpe per bambini uscì dal letargo che lo aveva caratterizzato negli ultimi anni e le vendite subirono un’accelerata sia nei negozi specializzati, sia in quelli che normalmente non trattavano calzature per i più piccoli.

 

Era arrivato il momento di masticare il boccone più indigesto: De Ricchis. Saltai sul primo volo del mattino in partenza da Pisa, feci scalo a Roma e da lì di nuovo per Bari, dove arrivai in tempo per la colazione.

 

L’apparato televisore-videocassetta abbinato al buon andamento del mercato e condito dal mio atteggiamento da bravo ragazzo con un sorriso smagliante ottenne il risultato sperato.

 

- Immagini tutto questo, - conclusi riferendomi alla palpabile ripresa del mercato - sull’onda della pubblicità che le sto proponendo. -

 

A sera, quando mi diressi all’aeroporto per fare il percorso inverso, ero carico di mozzarelle, gentilmente offerte dalla signora De Ricchis. Sul Roma-Pisa, mentre cercavo d’incastrare il televisore nella cappelliera senza schiacciare le mozzarelle, la hostess mi guardò perplessa:

 

- Non l’ho già vista questa mattina? -

 

Alla fine, dopo un tour de force di tre settimane, ero riuscito a racimolare la bellezza di venticinquemila paia di scarpe.

 

Tutto quello che Mara Giannecchini avrebbe desiderato.

Episodio 7 - La Produzione

In qualche indefinito punto dell’enorme periferia di Bangkok c’era un uomo che mi aspettava in una fabbrica di scarpe. Mr Kasem, il titolare della Long East.

 

Nemmeno il tempo di fare le presentazioni e già mi stava spiegando che la sua azienda era una joint venture con una ditta coreana, a conferma del fatto che poteva produrre scarpe di un buon livello tecnico.

 

In effetti, mentre rigiravo il cucchiaino nella tazzina, non potei fare a meno di notare modelli realizzati per Adidas e la cosa indirizzò l’asticella verso il bel tempo.

 

Al contrario, dopo la cerimonia del tè, quando ci addentrammo nei dettagli, si mostrò restio a investire in nuovi impianti. Il costo dell’attrezzatura per produrre le Lelli Kelly era, secondo lui, eccessivo.

 

Un vistoso neo sullo zigomo, da cui spuntavano due peli che non venivano tagliati da quando ciucciava il latte in grembo alla mamma, non contribuì a migliorare le sostanza delle sue argomentazioni.

 

Tuttavia, dopo qualche tira e molla, ci trovammo d’accordo e ripresi la via di casa abbastanza tranquillizzato.

 

Fu dopo alcune settimane, quando tutto sembrava filare liscio, che ricevetti una telefonata da Bangkok.

 

- La Long East, - disse una voce di donna in un inglese stentato - è in gravi difficoltà finanziarie e sta per chiudere i battenti. Non consegnerà le scarpe. -

 

Allontanai la cornetta del telefono dall’orecchio e la fissai come se fosse uno strumento del demonio. Nel frattempo la voce di donna si ricordò che aveva dimenticato di presentarsi:

 

- Mi chiamo Sanya e collaboravo con Mara Giannecchini prima che si ritirasse. Ho seguito il vostro progetto insieme a lei fin dall’inizio. -

 

Tirai a concludere la telefonata, chiamai la fabbrica e parlai con la direttrice, che mi tranquillizzò. Le simpatiche Lelli Kelly erano regolarmente in lavorazione e il loro tocco femminile ravvivava l’asettica routine della catena di montaggio. Lei stessa ne era orgogliosa.

 

Tuttavia la faccenda era troppo importante per non controllare di persona. Azzardai:

 

- Fra due giorni sarò a Bangkok, mi piacerebbe dare un’occhiata alla produzione. -

 

- Nessun problema, con esattezza quando? -

 

Guardai il calendario dandomi mentalmente dell’improvvisato. Bè, ormai non potevo rimangiarmi quello che avevo appena detto:

 

- Dopodomani. -

 

- Bene, - rispose - le prenoto il Siam Intercontinental e se non ha altri impegni ceneremo insieme. Poi, il mattino seguente, l’accompagnerò in fabbrica. -

 

Mi precipitai a comprare un biglietto, telefonai a inglese-stentato-Sanya per vederci appena sarei arrivato e saltai sul primo aereo disponibile. Dopo un volo di dodici ore l’unica cosa di cui avevo bisogno era una doccia, invece trovai Sanya che mi aspettava nella hall con un cartello che riportava il suo nome a caratteri cubitali, ovviamente non preceduto dalla qualifica inglese-stentato.

 

- La Long East ha dei problemi, - confermò - e sembra che Kasem voglia chiuderla. Gli americani, che rappresentavano la maggioranza dei suoi clienti, l’hanno lasciato senza il becco di un ordine e i soci coreani stanno levando le tende. -

 

Riuscii a liquidarla abbastanza rapidamente e più tardi, lavato e sbarbato, ero a cena con la direttrice, una signora di mezza età dal nome occidentale, Jessica, che mi chiese di chiamarla Jes.

 

Parlò del lavoro come se niente fosse. No, in fabbrica non c’era nessun problema. Le scarpe erano pronte per essere spedite e, già che ero sul posto, il signor Kasem mi avrebbe aspettato per effettuare insieme un controllo finale.

 

- Vengo a prenderla domattina, va bene alle nove? -

 

Il mattino seguente, alle nove in punto, sbadigliando come un ghiro, ero nella hall.

 

Nell’aria le note di Per Elisa si diffondevano sotto le volte del grande tetto a piramide del Siam Intercontinental e conciliavano il sonno a chi era affetto dal jet lag o rilassavano quei pochi turisti disposti a prestarci attenzione.

 

In quell’hotel, che era diventato il punto d’incontro di chi comprava e vendeva scarpe, tutti erano di fretta, anche se poi la fretta si diluiva nell’atmosfera da vacanze del parco esotico costellato di laghetti.

 

Mi appisolai. Dopo qualche minuto, con un supremo atto di volontà, tirai su le palpebre. Se c’era un’impressione che non volevo dare era quella di apparire poco interessato.

 

Alle dieci, tuttavia, nessuno si era fatto vivo. Continuai a lottare contro il sonno. Alle undici un certo movimento all’entrata si concluse con un nulla di fatto.

 

A mezzogiorno qualcosa accadde dalle parti del concierge e un cameriere con un cartello e un campanello iniziò a girovagare fra le poltrone cercando il signor Attilieni.

 

C’era una telefonata per lui al centralino. Era Jes. Si limitò a dire che Kasem aveva deciso di chiudere la fabbrica e per questo motivo non poteva venire a prendermi.

Episodio 8 - L’Emergenza

Per la seconda volta nel giro di pochi giorni mi ritrovai a fissare la cornetta di un telefono come se fosse un oggetto insolito, addirittura estraneo, un qualcosa che si era improvvisamente associato a quanto di più spiacevole potesse esistere al mondo. In altre parole, roba da fare schifo a toccarla.

 

Non posso esserne sicuro, perché non avevo uno specchio a disposizione, ma supposi dallo sguardo del concierge che i lineamenti del mio viso lasciassero ben trasparire quello che provavo. In realtà, pur fissando la cornetta non vedevo nulla e la mia mente stava semplicemente cercando di riconnettersi al resto del corpo.

 

La faccenda non andò per le lunghe. Una sequenza di opzioni prese il posto del vuoto con una rapidità che ogni volta, quando dovevo affrontare una crisi, mi sorprendeva.

 

Lasciai la cabina telefonica, saltai su un taxi, piantai in mano al conducente uno sgualcito bigliettino da visita con l’indirizzo della fabbrica in lingua locale e lo feci partire a rotta di collo.

 

Strade sopraelevate e ponti scorrevano sopra e sotto di noi nella capitale della Thailandia in pieno boom economico e turistico, ma la vettura non era delle più recenti e l’aria condizionata faticava a tenere a bada il caldo che ci aggrediva dagli spifferi.

 

Usciti dal centro, man mano che ci addentravamo nella periferia, le abitazioni lasciavano il posto a una lussureggiante vegetazione finché, prima che iniziasse la campagna vera e propria, quasi con sorpresa, mi trovai faccia a faccia coi grandi cancelli della fabbrica. Che non si aprirono.

 

A sinistra della cancellata c’era una guardiola con dentro un custode in una impeccabile divisa color cachi. Era impegnato ad asciugarsi la fronte come se quella fosse l’unica delle sue preoccupazioni.

 

Dietro la recinzione la fabbrica, come l’avevo vista nella mia precedente visita: un edificio nuovo e ben tenuto, con giardini di erba verdissima e aiuole fiorite i cui colori sfuocavano nella luce accecante. Grandi cartelli, in inglese e thailandese, richiamavano le norme di sicurezza sul lavoro prescritte dal locale ministero.

 

Il tassista scese e iniziò a parlare col custode. Aprii il finestrino e vampate di caldo umido mi ricordarono che eravamo nei paraggi dei tropici. Lo richiusi. Minuti interminabili. Ma che si stavano dicendo?

 

Finalmente il tassista tornò verso la macchina, si avvicinò al finestrino e articolò qualcosa in un inglese al cui confronto quello di Sanya si sarebbe potuto attribuire a un docente di Oxford:

 

- La fabbrica è deserta perché operai e impiegati sono andati alla stazione della polizia per protestare contro la chiusura. Chiedono che le autorità pongano l’edificio sotto sequestro. -

 

Il custode gli fece un cenno e si avvicinò al taxi. Parlottarono. Il tassista si rivolse di nuovo a me:

 

- Dice che alcuni hanno proposto di dar fuoco allo stabilimento. -

Episodio 9 - La Fase di Stallo

Mentre osservavo lo stabilimento da dietro le inferriate pensando che quelle asettiche mura racchiudevano venticinquemila paia di preziose Lelli Kelly, e che veniva ventilata la possibilità che finissero in fumo, il tassista fece intendere di non nutrire interesse a presenziare allo spettacolo di un eventuale incendio della fabbrica. Non potetti dargli torto e lo lasciai libero di andare.

 

Per quel che mi riguardava, avevo dato appuntamento sul posto a un mio collaboratore in arrivo da Hong Kong e pensai che sarei potuto rientrare in albergo più tardi con lui.

 

Quando il taxi scomparve dietro la curva, in fondo alla strada, mi guardai attorno, constatai che l’unica forma di vita nei paraggi era quella del custode, raggiunsi la guardiola e sedetti sulla mia ventiquattr'ore al suo fianco.

 

Il caldo non accennava ad allentare la presa e tutto quello che avevo da fare era scambiare, di tanto in tanto, qualche sorriso di circostanza col custode. Passò così una buona mezz’ora.

 

Un rumore prima della curva sembrò annunciare l’arrivo di un qualche tipo di veicolo, ma si perse poi in un nulla di fatto. Iniziai a dubitare che il mio collaboratore fosse in grado di raggiungermi.

 

Alla fine fece capolino una macchina. Era lui. Non aveva fatto in tempo a mettere un piede sull’asfalto che mi assicurai di non far ripartire il taxi senza di noi. Dopodiché lo misi al corrente della situazione e chiesi il suo parere.

 

Madre lucchese e padre scozzese, Gordon Pirie conservava un robusto senso di humour britannico. Ci pensò un attimo, mi guardò con un sorriso a mezza bocca e disse:

 

- Beh, non vorrei essere qui quando appiccheranno il fuoco alla fabbrica. -

 

Saltammo sul taxi e tornammo all’hotel. Lì, nella business room, mi attendeva una mezza tonnellata di corrispondenza arrivata via fax, in maggioranza inviata dall’agenzia pubblicitaria che avrebbe seguito il debutto televisivo di Lelli Kelly.

 

Il tempo stringeva, soprattutto riguardo alla decisione del budget da investire e dello spot da realizzare, e c’era urgente necessità di prendere decisioni riguardanti la futura campagna pubblicitaria. Mi rigirai in mano i fogli pensando a come sarebbe stata singolare priva del prodotto pubblicizzato: un esperimento che non aveva precedenti nella storia del marketing.

 

Fosse come fosse, la mia presenza era richiesta in azienda. Convocai inglese-stentato-Sanya e le affidai il compito di tirar fuori quelle venticinquemila paia di Lelli Kelly dalle mura della Long East, possibilmente non carbonizzate. Se ci fosse riuscita, dissi, l’avrei nominata agente per gli acquisti in quel paese.

 

- Non sarà facile - replicò - la Long East è in crisi da tempo e uno dei motivi per cui Mara Giannecchini ha gettato la spugna è perché aveva basato su di essa le sue fortune. Tutto sta a vedere se Kasem farà marcia indietro, anche se in gran parte non dipende da lui, la Thailandia del futuro è infatti più orientata al turismo che alla fabbricazione. -

 

Ovviamente questa è la sostanza della conversazione, perché in realtà i concetti furono espressi in un lungo arco di tempo e in un modo tutt’altro che lineare.

 

Mi diressi all’aeroporto, m’imbarcai sul volo serale per Roma e una volta preso posto nella business class della Thai Airways cominciai a meditare cupamente sui destini dell’umanità che, nel caso specifico, riguardavano il modo di tirarsi fuori, conservando un minimo di dignità, da tutte le promesse pubblicitarie e dai grandi piani di marketing. Era giovedì sera.

Episodio 10 - Il Rientro in Italia

Dodici ore dopo atterravo in Italia. Era venerdì mattina. Mi guardai bene dal mettere piede in ufficio ma non servì a molto: il disastro incombente condizionò l’intero weekend.

 

Conservavo, come al solito, una certa fiducia nelle mie capacità di togliermi dagli impicci, ma questa volta dovevo ammettere che la faccenda appariva abbastanza complicata.

 

Avevo passato metà dell’anno a convincere il fior fiore della clientela italiana a ordinare quell’innovativo modello di Lelli Kelly che ancora non aveva un nome, e viste come stavano le cose non lo avrebbe mai avuto, e a prendere accordi con i network televisivi per pubblicizzarlo.

 

Adesso, invece, si prospettava lo scenario di dover passare l’altra metà a tirarmi indietro, cercando al contempo di non perdere la faccia.

 

Il tutto condito da un enorme spreco di tempo e denaro, che messi insieme avrebbero potuto seriamente affossare un progetto alle prime armi com’era in quel momento Lelli Kelly.

 

Ironia della sorte, quelle scarpe che non avrei potuto consegnare, erano pronte e aspettavano solo di varcare i cancelli della Long East.

 

Il lunedì successivo mi avviai verso l’ufficio di buon’ora. Durante il tragitto provai a immaginare come si sarebbe svolta la conversazione con un grosso e scorbutico cliente come De Ricchis.

 

Dopo qualche convenevole, sarei andato dritto al punto:

 

- Ricorda il viaggio nel Mar dei Caraibi? -

 

- Ah, siamo stati benissimo, eccezion fatta per il giorno della convention. A quando il prossimo? -

 

Sorvolando sull’argomento, avrei continuato:

 

- Ricorderà senz’altro che in quell’occasione le chiesi di comprare la pantofola-bambola, con la promessa che sarebbe stata protagonista della prima campagna televisiva di Lelli Kelly… -

 

- Lo ricordo benissimo. Ho investito un sacco di soldi in quella pantofola. -

 

- … e in seguito le ho spiegato che no, non lo sarebbe stata, e al suo posto avrebbe debuttato in televisione un’innovativa scarpa da ginnastica pensata specificamente per le bambine? -

 

- Certo che lo ricordo. Altrimenti come farei a stare in affari? -

 

- … e che sono personalmente volato a Bari a convincerla, perché lei aveva detto chiaro e tondo al nostro agente che non ne voleva sapere di acquistarla? -

 

- Ricordo anche questo. -

 

- … e che invece l’ha acquistata? -

 

- Ricordo tutto. -

 

A questo punto, dopo uno studiato colpetto di tosse, avrei dato l’affondo:

 

- Ebbene, non solo non debutterà nemmeno questa in televisione, ma neppure gliela consegnerò! -

 

A questo punto sarebbero stati possibili due tipi di risposte.

 

Una, comprensiva:

 

- Non ti preoccupare, sei giovane, apprezzo in ogni caso il tuo impegno e il fatto che mi hai portato in quella splendida crociera nel Mar dei Caraibi. -

 

Oppure, più probabilmente:

 

- Togliti dai piedi e non ti far più vedere. -

 

Assorto in questo genere di pensieri raggiunsi la scrivania, dove mi attendeva una pila di fogli arrivati via fax e altri ne venivano sfornati a ritmo continuo. Uno era di Sanya. C’era scritto:

 

- Ci sono importanti novità. -

 

Afferrai la cornetta del telefono, questa volta vedendola come un oggetto di speranza anziché come uno strumento del demonio, e dall’altro capo del mondo mi rispose il suo inconfondibile inglese:

 

- Mr Kasem è addivenuto a miti consigli, ha deciso di rimandare la chiusura e di onorare tutti i suoi impegni. Pare che siano intervenuti il Governo e i suoi partner coreani. La fabbrica è di nuovo aperta e ho già tirato fuori le scarpe che in questo momento viaggiano verso il porto di Bangkok. -

 

Con occhi pieni di speranza, ritrovata la fiducia nel genere umano, mi voltai verso il dipinto a olio fine Ottocento appeso alla parete dietro di me, dove una balia teneva in braccio un bambino in fasce. Tuttavia, pur osservandolo, non lo vidi.

 

Quello che vedevo era la concreta possibilità di poter portare in fondo questo nuovo, grande progetto.

 

(Segue)

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