Il Nome
Un racconto di Attilio Attilieni
Episodi
A un certo punto mi trovai a riflettere sul fatto che mancava un marchio di scarpe dedicato alle bambine. Eravamo all’inizio degli Anni Novanta. Mi consultai con Mariella, mia moglie, e insieme decidemmo di venire incontro alle esigenze e al gusto delle più piccole. Tuttavia si presentò subito una difficoltà di non poco conto.
Il nome.
Quale poteva essere un nome per un progetto così importante?
Pensammo di coinvolgere Mario, il nostro primogenito, che all’epoca aveva sei anni. Vista la delicatezza della faccenda - un maschio di quell’età a cui viene chiesto qualcosa riguardante le femmine - lo approcciammo con un accattivante diminutivo, Marietto, chiedendogli quale, secondo lui, poteva essere un nome adatto a scarpe per bambine.
Mario era impegnato a giocare e la giornata non si preannunciava delle migliori. All’inizio, difatti, non dette segno di volerci prendere in considerazione. A volte, ripensandoci, ho immaginato il piccolo Mario che guardava il lettore e diceva, incredulo:
- Ma vi rendete conto? Le Lego non ne vogliono sapere di incastrarsi una dentro l’altra e questi due rompiscatole vengono fuori con una domanda del genere! -
Alla fine, in considerazione del fatto che la nostra presenza iniziava a farsi assillante, e che c’era la necessità di continuare a giocare senza dei piantagrane attorno, sbottò:
- Kelly! -
Dal suo punto di vista la conversazione era esaurita, ma noi, evidentemente più duri di testa del previsto, sembravamo non aver capito bene:
- Che hai detto? -
Seguirono istanti di pesante silenzio. Beh, a tutto c’era un limite, e in quel particolare caso non si capiva proprio perché papà e mamma continuassero a dargli questo genere di grattacapi.
- Mario, puoi ripetere? Che hai detto? -
- Kelly! Uffa, ho detto Kelly! Ho detto Kelly Kelly! -
Guardai Mariella, impressionato dal cipiglio del piccolo, e decisi che valeva la pena di lavorarci sopra. Dovevo, per prima cosa, vedere il nome in forma scritta, in modo da valutarlo graficamente, e, successivamente, pronunciarlo.
Iniziai dunque a scrivere combinazioni di parole che potevano avere a che fare in qualche modo con “Kelly”, a qualsiasi ora del giorno e della notte, per poi ripensarle a mente fredda dal punto di vista della grafica e del suono.
In breve, mi ritrovai preda di una qualche forma di frenesia che mi costringeva a spalancare gli occhi a notte fonda e, in assenza di carta a disposizione, afferrare fazzolettini, o carta igienica, o tutto quello su cui si poteva scarabocchiare qualcosa, e annotare in fretta quello che mi passava per la mente.
Fu un lavoro estenuante che andò avanti per settimane, rimanendo sempre in agguato e risucchiandomi energie fisiche e mentali. La sfida era trovare qualcosa di musicale e scorrevole e, quando pensavo di esserci riuscito, lo proponevo a Mario, che invariabilmente lo bocciava:
- Kelly! Ho detto Kelly Kelly! -
Quello che il piccolo Mario non sapeva, e che io avevo ben chiaro, era il fatto che il nome, qualunque esso fosse, non avrebbe dovuto iniziare con la lettera kappa. Si trattava, infatti, di una gutturale che avrebbe rappresentato un serio ostacolo alla scorrevolezza che andavo ricercando.
A volte testavo i nomi con i miei collaboratori o col personale dell’ufficio, ma col passare delle settimane non c’era nulla che mi convincesse, né da solo, né in combinazione con “Kelly”. In realtà, senza quasi rendermene conto, stavo ricercando un nome doppio che per sua natura restasse scolpito nella mente di chi lo pronunciava, come un ritornello, o una poesia.
Una notte aprii gli occhi, imprecai perché avrei come al solito perso il sonno, strappai un fazzolettino di carta, ci vergai “Kelly” con una penna che non voleva saperne di scrivere e, con l’unico obiettivo di riaddormentarmi velocemente, provai a metterci davanti un nome che mi venne giù così, in quel momento. Ne ignoravo l’esistenza fino a due secondi prima.
Mi riaddormentai subito e quella sequenza di parole rimase lì, dimenticata, per il resto della nottata. La mattina seguente tutto quello che mi rimaneva era la sensazione che un autotreno mi fosse passato sulle ossa. A una successiva considerazione raggiunsi la conclusione che era dotato di rimorchio.
Allungai la mano verso il comodino, trovai il lembo del fazzolettino e mi ritrovai faccia a faccia con quei due scarabocchi. Li lessi e li rilessi. Poi li feci vedere a Mariella che si stava stiracchiando sul cuscino, al mio fianco.
Ci guardammo in faccia e annuimmo senza bisogno di parole. Sì, quella sembrava proprio la sequenza giusta.
Lelli seguito da Kelly.
